Anomalie servizi PEC Namirial

Si comunica che a causa di anomalie da parte del gestore PEC Namirial (non di Servicematica), si riscontrano problemi nell’invio dei depositi Telematici.

Esempio Errore su Service1:
Sembra che i parametri della PEC non siano corretti. Correggere i parametri e riprovare in un secondo momento.

Consigliamo di contattare il gestore della sua pec Namirial e di ripetere l’operazione di invio in un secondo momento.


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Lunedì nero per i mercati: Wall Street crolla, Tesla affonda

I mercati globali hanno vissuto un lunedì nerissimo, con Wall Street in caduta libera e le Borse europee travolte dal crollo del Nasdaq. I timori legati alla politica economica di Donald Trump e al possibile inasprimento dei dazi hanno innescato vendite diffuse, spingendo gli investitori verso un’ondata di sell-off che ha cancellato i guadagni post-elettorali registrati lo scorso novembre.

A Wall Street, la seduta è iniziata subito in rosso e la chiusura ha confermato il trend ribassista: il Dow Jones ha perso il 2,08%, lo S&P 500 ha chiuso a -2,7%, mentre il Nasdaq ha subito un tracollo del 4%, segnando il peggior ribasso giornaliero dal settembre 2022. La situazione ha avuto un impatto devastante soprattutto sui colossi tecnologici: i cosiddetti “Magnifici sette” (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla) hanno registrato forti perdite. Tesla ha subito la disfatta più pesante, crollando del 15,43%.

Il peso delle dichiarazioni di Trump

A scatenare il panico sui mercati è stata un’intervista rilasciata domenica da Donald Trump, in cui l’ex presidente ha dichiarato che l’economia statunitense sta attraversando un “periodo di transizione” e non ha escluso il rischio di recessione. Queste parole hanno spinto gli investitori a liberarsi dei titoli più esposti alle incertezze macroeconomiche, in particolare quelli del settore tecnologico.

La Casa Bianca ha cercato di rassicurare i mercati, affermando che “gli spiriti animali del mercato azionario stanno divergendo dalla realtà economica”, ma le vendite non si sono arrestate, alimentando una spirale ribassista.

Borse europee in scivolata

L’onda lunga di Wall Street ha colpito anche le Borse europee, che nel pomeriggio hanno amplificato le perdite. Francoforte è stata la peggiore, con un ribasso dell’1,63%, seguita da Madrid (-1,31%), Londra e Parigi (-0,90%). Anche Piazza Affari ha chiuso in calo, con il Ftse Mib a -0,98% e l’All Share a -0,95%.

L’Eurogruppo, riunitosi nella giornata di ieri, ha affrontato la questione dei dazi imposti dagli Stati Uniti. Il commissario europeo agli Affari Economici, Valdis Dombrovskis, ha dichiarato che Bruxelles è “pronta a reagire in modo proporzionato” a eventuali misure protezionistiche americane. “Le tensioni commerciali hanno effetti profondamente negativi a livello globale”, ha avvertito Dombrovskis, sottolineando la necessità di trovare soluzioni diplomatiche per evitare un’escalation che potrebbe aggravare ulteriormente l’instabilità economica.

Verso nuove turbolenze?

Gli analisti temono che la tempesta finanziaria non sia ancora finita: la combinazione tra incertezze economiche, dazi e tensioni geopolitiche potrebbe continuare a pesare sui mercati nelle prossime settimane. Gli occhi restano puntati su Washington, mentre gli investitori cercano di capire se il tonfo odierno sia solo un episodio isolato o l’inizio di una nuova fase di turbolenze per l’economia globale.


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Cannabis in Italia: nuove regole, più controlli e scenari futuri

Cannabis e normativa: le ultime novità

La legislazione italiana in materia di cannabis è in costante evoluzione, con aggiornamenti volti a regolamentare il settore in maniera più chiara e rigorosa. Le ultime modifiche legislative intervengono su due fronti principali: la distinzione tra cannabis terapeutica e cannabis light e il controllo sulla produzione di derivati destinati a usi farmaceutici o industriali.

L’Ufficio Centrale Stupefacenti, in attuazione del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti (DPR 309/1990), ha concesso le prime autorizzazioni alla coltivazione di Cannabis Sativa L. da sementi certificate, stabilendo criteri precisi per la filiera. Questo passo mira a garantire la qualità della produzione e a distinguere nettamente tra coltivazione a uso industriale, terapeutico e commerciale.

Un altro aspetto cruciale riguarda la fabbricazione di estratti di cannabis per uso farmaceutico. Le autorizzazioni sono concesse solo alle officine farmaceutiche riconosciute dall’AIFA, che devono attenersi a rigidi protocolli per produrre principi attivi destinati ai medicinali.


Il DDL Sicurezza e la cannabis light: in bilico tra restrizioni e compatibilità UE

Il DDL Sicurezza, attualmente in discussione al Senato, ha sollevato numerose critiche per l’emendamento 13.06, che impone restrizioni alla cannabis light equiparandola a quella non light. Inoltre, il Decreto 27 Giugno 2024 ha inserito il CBD tra le sostanze stupefacenti (Tabella B), limitandone la libera vendita.

Queste misure sono state oggetto di un’interrogazione del Parlamento Europeo, che ne ha contestato la compatibilità con la normativa UE e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Secondo Bruxelles, vietare la vendita di CBD senza evidenze di rischio per la salute pubblica potrebbe costituire una violazione delle regole del mercato unico.

Di contro, il Dipartimento delle Politiche Antidroga sostiene che il DDL Sicurezza non vieta la coltivazione di Cannabis Sativa L., già regolamentata dalla legge 242/2016 per usi industriali. Inoltre, secondo il Governo, la normativa italiana rispetta sia le direttive UE sia la Convenzione Unica sugli Stupefacenti di New York del 1961, garantendo un equilibrio tra regolamentazione e libertà di mercato.


Implicazioni per aziende e consumatori: più regole, più controlli

Le nuove disposizioni richiedono agli operatori del settore un adeguamento normativo che riguarda la produzione, la trasformazione e la vendita dei derivati della cannabis. In particolare:

  • Autorizzazioni: per la produzione di estratti destinati all’uso farmaceutico, le officine devono ottenere il via libera dall’AIFA e rispettare severi standard di qualità.
  • Etichettatura e pubblicità: i rivenditori di cannabis light devono adottare regole più rigide per evitare ambiguità sulla destinazione d’uso dei prodotti.
  • Tracciabilità: aumentano le richieste di documentazione e certificazioni per garantire trasparenza e sicurezza.

Mentre i produttori investono in conformità normativa, i consumatori devono fare attenzione alle nuove regole per evitare acquisti non conformi alle leggi in vigore.


Futuro incerto, tra regolamentazione e sviluppo economico

Il settore della cannabis in Italia resta in bilico tra restrizioni normative e opportunità economiche. Il dibattito sulle regole per la cannabis light e il CBD è tutt’altro che chiuso, con una forte pressione da parte delle associazioni di settore affinché il quadro normativo tenga conto delle esigenze del mercato.

Il confronto tra imprese, istituzioni e organismi europei sarà determinante per delineare il futuro della cannabis in Italia, cercando un equilibrio tra sicurezza, tutela della salute pubblica e crescita economica.


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Danno parentale anche senza legame di sangue: la Cassazione apre un nuovo scenario

La perdita di una persona cara può essere risarcita anche in assenza di un legame di sangue, purché sia dimostrata una relazione affettiva stabile e significativa. Con la sentenza n. 5984, depositata il 7 marzo, la Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento del danno parentale per il compagno della madre di una bambina di quattro anni, deceduta in un tragico incidente stradale.

La decisione ribadisce un principio già affermato dalla giurisprudenza: non è necessario un vincolo di consanguineità per riconoscere il danno da perdita di un rapporto affettivo. Ciò che conta è la qualità del legame e il ruolo effettivamente svolto nella vita della vittima.

Il caso: una figura paterna vicaria

La vicenda riguarda un incidente mortale in cui ha perso la vita una bambina di quattro anni. Il compagno della madre, pur non essendo il padre biologico né convivente con la minore, aveva svolto per anni il ruolo di figura paterna sostitutiva. La Corte d’Appello di Trento aveva riconosciuto il suo diritto al risarcimento, liquidando la stessa somma assegnata alla madre, pari a 249.047 euro.

L’Ufficio Centrale Italiano (Uci), chiamato in causa in quanto il conducente responsabile dell’incidente era tedesco e il veicolo immatricolato in Germania, ha impugnato la decisione, sostenendo che mancassero i requisiti per riconoscere il danno parentale al compagno della madre. Secondo l’Uci, l’assenza di convivenza e di una prova chiara dell’effettivo ruolo genitoriale del ricorrente avrebbero dovuto escludere il diritto al risarcimento.

La decisione della Cassazione

La Terza Sezione Civile della Cassazione ha respinto il ricorso, confermando il ragionamento della Corte d’Appello. I giudici hanno ritenuto provato il ruolo di “padre vicario” del ricorrente, sottolineando come avesse fornito alla bambina assistenza morale e materiale per oltre tre dei quattro anni della sua vita.

Richiamando precedenti giurisprudenziali, la Cassazione ha ribadito che il legame di sangue non è un presupposto imprescindibile per il riconoscimento del danno parentale. Ciò che rileva è la presenza di una relazione stabile, affettiva e caratterizzata da consuetudini di vita e supporto reciproco, elementi ritenuti pienamente sussistenti nel caso di specie.

Un principio consolidato

La sentenza si inserisce nel solco della giurisprudenza più recente, che riconosce il danno parentale a chi abbia instaurato con la vittima un rapporto affettivo profondo e duraturo, indipendentemente dal legame biologico. Già nel 2023, la Suprema Corte aveva affermato che il danno parentale può essere riconosciuto anche nei confronti di chi, pur non avendo un vincolo di consanguineità, ha svolto un ruolo affettivo e di protezione simile a quello di un genitore (Cass. n. 31867/2023).


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La Consulta boccia il divieto di permessi premio per i detenuti che commettono reati in carcere

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che vietava automaticamente, per due anni, la concessione di permessi premio ai detenuti imputati o condannati per reati commessi durante l’esecuzione della pena. Con la sentenza n. 24, depositata oggi, la Consulta ha accolto la questione di legittimità sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, stabilendo che l’automatismo della preclusione viola i principi costituzionali della presunzione di innocenza e della funzione rieducativa della pena.

Il caso: un detenuto e il divieto di accesso al beneficio

La vicenda trae origine dalla richiesta di permesso premio avanzata da un detenuto, in carcere dal 2017, che si è visto negare l’accesso al beneficio in virtù del divieto previsto dall’articolo 30-ter, quinto comma, della legge sull’ordinamento penitenziario. Il rigetto è stato automatico, poiché il richiedente risultava rinviato a giudizio per un tentativo, avvenuto un anno prima, di introdurre droga nel carcere per conto di un altro detenuto. Il Magistrato di sorveglianza ha però ritenuto la norma incompatibile con i principi costituzionali e ha rimesso la questione alla Consulta.

Le motivazioni della Consulta: violata la presunzione di innocenza

La Corte costituzionale ha evidenziato come una norma che precluda automaticamente il permesso premio sulla sola base di un’imputazione sia incompatibile con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e del diritto dell’Unione europea. La presunzione di innocenza, ha ribadito la Consulta, non si esaurisce all’interno del procedimento penale, ma si estende a tutti gli ambiti in cui un soggetto può subire conseguenze negative per un’accusa non ancora confermata da una condanna definitiva.

Di fatto, impedire al magistrato di sorveglianza di valutare la posizione del detenuto significa costringerlo a considerarlo colpevole in via presuntiva, senza possibilità di ascoltare le sue ragioni o di verificare la reale portata dell’accusa. Questa rigidità, secondo la Corte, compromette il diritto di difesa e il principio di individualizzazione del trattamento penitenziario.

Il giudice deve poter valutare caso per caso

Oltre alla violazione della presunzione di innocenza, la Consulta ha sottolineato che il divieto biennale di accesso ai permessi premio è ormai in contrasto con il consolidato orientamento costituzionale che impone una valutazione individualizzata della condotta e dei progressi rieducativi del detenuto. Anche in caso di condanna definitiva per un reato commesso in carcere, il magistrato di sorveglianza deve poter esaminare il concreto rilievo del fatto e la sua incidenza sul percorso di reinserimento sociale del detenuto.


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Abuso d’ufficio, la Cassazione ferma la riforma Nordio: rinvio alla Consulta

La Corte di Cassazione ha rinviato alla Corte Costituzionale la decisione sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, introdotta dalla riforma Nordio con la legge 112/2024. Secondo la Suprema Corte, la cancellazione del reato ha lasciato una “zona franca” nella lotta alla corruzione, violando la Convenzione Onu di Merida del 2003.

Con l’ordinanza n. 9442/2025, la Cassazione ha sollevato profili di illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della riforma Nordio, che ha eliminato l’articolo 323 del Codice penale. La decisione è stata presa nell’ambito di un ricorso in cui la difesa chiedeva l’annullamento di una condanna per abuso d’ufficio, in applicazione del principio del favor rei, che impedisce la punizione di un reato abolito.

La Corte, pur riconoscendo la rilevanza dell’abolitio criminis, ha evidenziato che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è avvenuta senza prevedere misure compensative per il contrasto alla corruzione. In particolare, ha rilevato la violazione degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione Onu contro la corruzione (legge 116/2003).

L’articolo 19 della Convenzione impone agli Stati di adottare norme che sanzionino condotte prodromiche alla corruzione, tra cui quelle descritte dal precedente articolo 323 del Codice penale. La Cassazione ha quindi ritenuto che l’abrogazione senza strumenti sostitutivi lasci un vuoto normativo pericoloso, non colmato neanche dai meccanismi disciplinari interni alla pubblica amministrazione.

Ora la Consulta dovrà pronunciarsi sulla legittimità della riforma. Se dovesse dichiarare incostituzionale l’abrogazione, il reato di abuso d’ufficio potrebbe tornare in vigore senza che la Corte Costituzionale violi il principio di riserva di legge, che affida al Parlamento la potestà legislativa in materia penale.

La decisione della Cassazione riapre dunque il dibattito su una riforma che, se da un lato ha cercato di snellire la burocrazia, dall’altro rischia di indebolire la lotta alla corruzione.


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Ddl violenza di genere; OCF: “Strumentalizzazione della giustizia penale alla ricerca di facile consenso elettorale”

Roma 10 marzo 2025 – L’Organismo Congressuale Forense, con riferimento al recente disegno di legge in tema di violenza di genere e alle sue ricadute processual–penalistiche, ribadisce, come già ampiamente fatto in occasione del D.D.L. c.d. sicurezza, che è totalmente contrario a progetti di riforma ispirati a una visione illiberale del diritto penale, ideati in spregio ai diritti dell’individuo e ai valori della Costituzione e che trasformano il processo in una esecuzione sommaria fin dal momento delle indagini.

Il recente disegno di legge prevede tutta una serie di modifiche che hanno un unico denominatore comune, ossia il ricorso al carcere quale panacea dei mali. Siamo all’ennesima strumentalizzazione della giustizia penale alla ricerca di facile consenso elettorale.

Non può che prendersi le distanze da norme che discriminano in maniera incostituzionale il medesimo delitto in ragione del genere, così come va stigmatizzato l’ennesimo aumento delle pene, l’inclusione tra i reati ostativi dei delitti di maltrattamenti in famiglia e di stalking, l’introduzione di aggravanti, la marginalizzazione   dell’accusato nel processo a vantaggio della persona offesa. Insomma, il diritto penale assume un volto marcatamente repressivo che criminalizza attraverso generalizzazioni l’individuo prima del processo e rende impossibile la difesa di chi è accusato di taluni reati, catalogo sempre in aumento.

Si riafferma con decisione che la prevenzione e la tutela della vittima non può essere affidata all’aumento delle pene o a slogan elettorali applicati al diritto penale. Peraltro, l’inefficacia di tali misure ai fini preventivi è dimostrata dall’aumento dei delitti negli ultimi anni nonostante il c.d Codice Rosso e le altre misure repressive adottate.

Al contempo, mancano seri interventi sul sociale e che diffondano una cultura del rispetto verso la donna e in genere l’altrui persona. Si auspica che lo stesso Governo, il Parlamento e il Presidente della Repubblica pongano rimedio e blocchino una riforma che porterà a gravi ingiustificati sacrifici della libertà dell’innocente e a delineare un processo penale fortemente ingiusto.

Così in una nota l’Organismo Congressuale Forense.


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Cybersecurity in Italia: il nuovo reato di ”estorsione informatica”

Negli ultimi anni, la cybersicurezza ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano, spinta dalla crescente digitalizzazione e dall’aumento degli attacchi informatici. L’Italia si trova ad affrontare una sfida cruciale: proteggere le proprie istituzioni e imprese dagli hacker, investendo in formazione e potenziando le misure di contrasto.

Il quadro allarmante del Rapporto Clusit

L’ultimo Rapporto Clusit ha fornito dati preoccupanti sulla sicurezza informatica, evidenziando un incremento significativo degli attacchi globali. Se nel 2019 si registravano in media 139 attacchi gravi al mese, nel primo semestre del 2024 questo numero è salito a 272. Anche l’Italia non è rimasta immune: nei primi sei mesi del 2024 si sono verificati 124 attacchi informatici gravi, con una crescita del 35% tra il primo e il secondo semestre.

Nel nostro Paese, il 71% degli attacchi ha avuto finalità di cybercrime, un dato in aumento rispetto al 63% del 2023. Preoccupa anche il fatto che un terzo degli attacchi registrati sia riconducibile all’“hacktivism”, ovvero azioni di pirateria informatica con scopi ideologici o politici.

Le vittime non sono solo le grandi istituzioni pubbliche, ma anche le imprese private, spesso prive di adeguate difese. Secondo il Rapporto Clusit, l’80% delle piccole aziende non ha personale specializzato in informatica e si affida a consulenti esterni solo in caso di necessità. Nelle microimprese, il 90% non offre alcuna formazione in materia di cybersecurity ai propri dipendenti.

Le nuove misure legislative: la Legge 90/2024

Il governo italiano ha risposto all’emergenza con la Legge 28 giugno 2024, n. 90, che introduce nuove misure per rafforzare la cybersicurezza nazionale e contrastare i reati informatici. Il provvedimento si divide in due parti: la prima mira a potenziare la resilienza delle pubbliche amministrazioni e del settore finanziario, la seconda si concentra sulla prevenzione e repressione degli attacchi informatici.

Tra le novità più rilevanti spicca l’introduzione del reato di “estorsione informatica”. L’articolo 629 del Codice Penale è stato modificato per punire chi, attraverso accesso abusivo a sistemi informatici, intercettazioni illecite o sabotaggi digitali, costringe qualcuno a compiere o omettere un’azione per ottenere un profitto illecito. Le pene previste vanno dai 6 ai 12 anni di reclusione, con aggravanti fino a 22 anni nei casi più gravi.

Il futuro della cybersicurezza in Italia

L’evoluzione normativa rappresenta un passo avanti, ma non basta. La cybersicurezza richiede investimenti strutturali, formazione continua e una stretta collaborazione tra istituzioni, aziende e mondo accademico. Senza un ecosistema digitale sicuro, l’Italia rischia di restare vulnerabile agli attacchi informatici, con conseguenze economiche e strategiche potenzialmente devastanti.


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Sicurezza aziendale e AI: cresce la richiesta di specialisti contro gli attacchi informatici

L’Associazione Italiana dei Professionisti della Sicurezza Aziendale (AIPSA) lancia l’allarme: le aziende italiane necessitano sempre più di esperti in cybersecurity capaci di sfruttare l’intelligenza artificiale per prevenire attacchi informatici sempre più sofisticati. Il settore della sicurezza informatica sta cambiando volto, con un progressivo allontanamento dal tradizionale esperto in sicurezza IT a favore di specialisti capaci di integrare tecnologie avanzate nei sistemi di difesa aziendali.

A livello normativo, due sono i fronti attivi che le imprese devono affrontare. Dal 28 febbraio, tutte le aziende operanti in settori critici devono completare l’iscrizione alla piattaforma digitale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. Inoltre, da ottobre è in vigore il decreto legislativo 138/2024, che recepisce la direttiva europea NIS2 sulla sicurezza dei sistemi informativi. “Il primo scoglio – commenta Alessandro Manfredini, presidente di AIPSA – è far capire all’imprenditore che la sicurezza cyber ha molto a che fare con la difesa della competitività e della capacità di restare sul mercato. Ma non basta tutelarsi da eventuali rischi e minacce: è necessario che anche clienti e fornitori rispettino standard di sicurezza adeguati”.

Un problema chiave resta la carenza di professionisti qualificati nel settore. La formazione diventa quindi un elemento cruciale, su cui AIPSA sta puntando con eventi e corsi di aggiornamento. Nuove figure professionali stanno emergendo, tra cui esperti in ingegneria della cybersecurity e specialisti nell’applicazione dell’AI alla sicurezza. Il settore richiede competenze sempre più multidisciplinari, capaci di adattarsi a un contesto in continua evoluzione.


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Le aziende e l’IA: nuovi uffici e ruoli per la gestione dell’intelligenza artificiale

L’adozione dell’intelligenza artificiale nelle imprese richiede una riorganizzazione strutturale con l’istituzione di nuovi uffici e organi tecnici specializzati. Secondo le “Linee guida per l’adozione dell’IA” dell’AgID, in consultazione pubblica fino al 20 marzo 2025, le aziende dovranno dotarsi di figure professionali dedicate alla gestione e supervisione dei sistemi IA.

Al vertice, il Responsabile dell’IA aziendale coordinerà l’uso delle tecnologie intelligenti, garantendo la conformità normativa e la sicurezza dei processi. Accanto a lui, un ufficio di gestione dati dovrà assicurare il trattamento sicuro delle informazioni, mentre un ufficio di addestramento dell’IA si occuperà della formazione e del miglioramento continuo degli algoritmi.

Un ruolo chiave sarà svolto dall’ufficio di supervisione umana, responsabile del monitoraggio delle decisioni prese dall’IA, con la possibilità di intervenire o interrompere il funzionamento dei sistemi in caso di anomalie. Per proteggere i sistemi da attacchi informatici, le aziende dovranno inoltre istituire un ufficio di cybersicurezza, con esperti dedicati alla protezione delle infrastrutture IA.

Le linee guida dell’AgID sottolineano anche l’importanza di un comitato etico, incaricato di valutare l’impatto sociale e morale delle applicazioni IA, prevenendo eventuali conflitti di interesse. Inoltre, figure come il giurista informatico e l’AI ethicist saranno cruciali per garantire un uso responsabile delle tecnologie, rispettando la privacy e i diritti degli individui.

Questa trasformazione rappresenta una sfida per le imprese, ma anche un’opportunità per innovare in modo consapevole, integrando l’intelligenza artificiale nei processi aziendali con un approccio etico e regolamentato.


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